(Adnkronos) – Benjamin Netanyahu incontrerà Donald Trump alle 19 ore italiane, nel resort del presidente degli Stati Uniti, Mar-a-Lago, in Florida, mentre aumentano i timori che Israele possa lanciare nuove offensive contro i nemici regionali, facendo potenzialmente sprofondare ulteriormente il Medio Oriente nell’instabilità. Il primo ministro israeliano ha lasciato Israele ieri per la sua quinta visita negli Stati Uniti quest’anno per incontrare Trump. 

In cima all’agenda ci sarà il cessate il fuoco a Gaza, che a ottobre ha posto fine alla devastante guerra durata due anni. Sebbene i termini concordati per una fase iniziale siano stati in gran parte completati, con le forze israeliane che si sono ritirate in nuove posizioni e Hamas che ha rilasciato tutti gli ostaggi vivi e tutti tranne uno tra quelli morti, l’attuazione della seconda fase del piano in 20 punti del presidente si trova ad affrontare sfide imponenti.  

Si teme anche che Israele lanci nuove offensive contro Hezbollah in Libano, rompendo un cessate il fuoco stabilito più di un anno fa, o contro l’Iran, che accusa di aver accelerato la produzione di missili balistici negli ultimi mesi. 

Tre mesi fa Netanyahu ha accolto Trump come “il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca”, ma questa amicizia, e il potere di persuasione del premier israeliano, verrà messa alla prova durante l’incontro a Mar a Lago con il presidente americano, con il quale ultimamente registra divergenze su praticamente ogni tema caldo del dossier mediorientale.  

Secondo quanto riferito da fonti israeliane al Washington Post, il viaggio in Florida offre a Netanyahu la cruciale opportunità di convincere Trump a prendere una posizione più dura a Gaza e di chiedere a Hamas di disarmare prima dell’ulteriore ritiro delle truppe israeliane come parte della seconda del piano di pace in 20 punti di Trump.  

Non solo, Bibi cercherà di ottenere la luce verde per un altro attacco contro il programma missilistico balistico dell’Iran, possibilmente come parte di un’operazione congiunta con gli Usa, anche se il presidente americano chiese con forza la fine della guerra dei 12 giorni a giugno, dichiarando il programma nucleare di Teheran “completamente obliterato” dai bombardamenti Usa.  

Per quanto riguarda la Siria, poi, l’amministrazione Trump non ha gradito azioni dell’esercito israeliano all’interno del Paese che minano gli sforzi del nuovo presidente, Ahmed al-Sharaa, per consolidare i controllo, con Trump che ha pubblicamente avvisato Israele a non fare nulla “che interferisca con l’evoluzione della Siria in uno Stato prospero”. Infine, in Libano Israele ha ripetutamente bombardato target di Hezbollah domandando al contempo il disarmo del gruppo in accordo con il cessate il fuoco mediato dagli Usa, mentre i suoi raid rischiano di provocare una nuova deflagrazione nella regione.  

Nel loro quinto incontro dell’anno che sta per finire, l’aggressività di Netanyahu rischia quindi di scontrarsi con un presidente Usa che sembra intenzionato a proiettare un’immagine di negoziatore di pace e quindi il premier israeliano potrebbe faticare ad ottenere il sostegno del tycoon, scrive ancora il Post citando fonti vicine ai due leader e osservatori politici. 

“Questo è un summit di emergenza, nasce dalla necessità di chiarare l’aria, perché c’e’ tensione tra le due parti, hanno differenti tabelle di marcia per arrivare alla stessa destinazione, cioè un Medio Oriente liberato dal regime iraniano e dai suoi proxies terroristi, in particolare Hamas”, afferma Dan Diker, presidente del Jerusalem Center for Security and Foreign Affairs