(Adnkronos) – “Sapete qual è l’animale più letale del mondo? La zanzara”, ricorda l’esperto di epidemiologia e statistica medica, Massimo Ciccozzi. A dispetto delle sue dimensioni “uccide ogni anno più persone di qualsiasi altra creatura”, diffondendo malattie come Chikungunya, Dengue, West Nile, malaria. A proposito di Chikungunya, è di pochi giorni fa il monito dell’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo) che prende ad esempio della ‘nuova normalità’, con cui dovremo convivere anche a queste latitudini, proprio questa infezione che ha fatto registrare epidemie record nel Vecchio Continente, insieme a West Nile. Cosa sta succedendo, dunque, e stiamo sbagliando qualcosa? Se lo è chiesto un team di scienziati italiani che si occupa di malattie infettive in un focus sulla rivista ‘Pathogens and global health’. 

Gli autori sono 4 esperti del gruppo Gabie (Genomics, Ai, Bioinformatics, Infectious diseases, Epidemiology) – Francesco Branda e Massimo Ciccozzi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, Giancarlo Ceccarelli dell’Università Sapienza di Roma e Fabio Scarpa dell’Università di Sassari – e due esperti in forze all’University of South Florida, Davide Zella e Francesca Benedetti. Per gli esperti nonostante la pandemia di Covid abbia “mostrato quanto sia cruciale la condivisione tempestiva dei dati per rispondere alle emergenze sanitarie globali”, l’approccio alla gestione di malattie come la Chikungunya “sembra non aver pienamente recepito gli insegnamenti del passato”. Al contrario, riflettono, “stiamo assistendo a crescenti sfide in termini di trasparenza e cooperazione in aree cruciali per la prevenzione e il controllo di malattie virali che continuano a minacciare la salute pubblica. La Chikungunya è un esempio lampante di come il sistema globale di ricerca e sorveglianza sia rimasto poco aggiornato, frammentato e con un’efficacia limitata”. 

E intanto, avvertono gli esperti, “le zanzare Aedes aegypti e Aedes albopictus, principali vettori del virus, stanno espandendo la loro presenza in nuove aree geografiche spinte dai cambiamenti climatici e dall’urbanizzazione. Malattie che un tempo erano limitate alle regioni tropicali o subtropicali, come la Chikungunya, stanno ora raggiungendo aree più temperate e densamente popolate, tra cui Europa e Nord America”. Mentre tutto questo accade, “non esiste ancora un sistema centralizzato completo per il monitoraggio e la raccolta di dati in tempo reale, per non parlare di un’infrastruttura integrata per tracciare l’evoluzione del virus, le sue mutazioni e le nuove epidemie”. 

Gli autori della riflessione si interrogano su come sia possibile che “non siamo ancora riusciti a implementare una rete di dati condivisi su larga scala per gli arbovirus. Il fatto che i dati epidemiologici, le sequenze genetiche e le informazioni sui vettori siano dispersi in database chiusi, risorse nazionali e studi locali rappresenta una limitazione significativa – avvertono – La mancanza di un sistema centralizzato e accessibile non solo rallenta la ricerca, ma ostacola anche le politiche di risposta alle epidemie”.  

Il contesto invece “richiede velocità e precisione. È impossibile ignorare che, sebbene il numero di epidemie di Chikungunya e di altre malattie virali sia in aumento, le risorse per la ricerca rimangono insufficienti”, rimarcano gli autori dell’analisi. “Mentre i governi e le agenzie internazionali sembrano concentrarsi su emergenze di più alto profilo, le malattie trasmesse dalle zanzare continuano a diffondersi senza un adeguato supporto per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo. Ma la questione non è solo una questione di risorse, ma anche di visione a lungo termine e di definizione delle priorità politiche. La comunità scientifica, insieme ai decisori politici, ha il dovere di creare una rete di dati globale che consenta non solo il monitoraggio, ma anche un intervento tempestivo”, concludono gli scienziati evidenziando l’urgenza di “investire in una piattaforma globale integrata per la gestione di queste malattie”, invece di discutere “ancora di frammentazione e opacità”. 

Nuovi casi autoctoni di Chikungunya sono stati notificati negli ultimi giorni nel territorio veronese. E il totale delle persone infettate dal virus dall’inizio del focolaio sale a 10, di cui 7 casi confermati e 3 classificati come probabili. Tutti i pazienti sono attualmente a domicilio e in buone condizioni di salute. Lo rende noto la Direzione Prevenzione della Regione Veneto con il suo ultimo report. “Tutti gli ultimi casi – precisano i tecnici regionali – sono residenti nel Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella (senza correlazione epidemiologica con l’area di Parona), lontano dalle prime aree interessate e trattate con interventi di disinfestazione straordinaria. Sulla base di quanto emerso finora dalle indagini, la Direzione Prevenzione – sentiti gli esperti dell’Istituto superiore di sanità, dell’Izsve (Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie) e dell’Azienda Ulss 9 Scaligera – intende rafforzare la strategia regionale con l’obiettivo di ridurre la diffusione dell’infezione”. 

La Chikungunya, ricordano gli esperti nella nota, non si trasmette da persona a persona, ma esclusivamente attraverso la puntura di zanzare del genere Aedes infette. “È importante mantenere comportamenti di prevenzione per ridurre il rischio di punture di zanzara – si legge – come l’uso di repellenti cutanei anche durante il giorno, l’installazione di zanzariere alle finestre e porte e l’eliminazione delle raccolte di acqua stagnante dove le zanzare possono riprodursi”.