(Adnkronos) –
Un cittadino di nazionalità tunisina, residente a Cosenza, è stato fermato dalla Polizia di Stato poiché ritenuto appartenente all’Isis, con il ruolo di organizzatore. A eseguire il provvedimento, disposto dalla Procura di Catanzaro, la sezione Antiterrorismo della Digos delle Questure di Catanzaro e Cosenza, col supporto della Direzione Centrale Polizia di Prevenzione – Servizio per il Contrasto dell’Estremismo e del Terrorismo Esterno.L’uomo si chiama Mselmi Halmi Ben Mahmoud, ha 28 anni, si professava ‘Salafita–Takfira’ ed era ricercato nel Paese di origine per essere stato coinvolto in attività terroristiche: aveva in mente il proposito di compiere nel prossimo futuro di un atto terroristico in Italia.
“Questa è, a mio avviso, la più bella indagine sul terrorismo fatta negli ultimi anni. Il tunisino arrestato non si limitava solo a fare proselitismo o autoaddestramento. Lui era pronto al martirio”, a parlare all’Adnkronos è Antonio Caliò, dirigente della Digos di Catanzaro che ha arrestato il 28enne. “L’uomo – spiega il titolare dell’attività investigativa avviata a fine 2023 – faceva parte di una cellula legata all’Isis e il fermo è stato necessario alla luce del fatto che negli ultimi giorni si stava addestrando emotivamente, facendo lui stesso dei video particolari, annunciando che doveva sgozzare delle persone. Siamo intervenuti con il fermo prima che si consumasse qualcosa di concreto. Gli stavamo dietro da due anni, parliamo di un soggetto molto pericoloso, al quale è stata contestata l’associazione con finalità di terrorismo e la sua prontezza al martirio”. “In passato già recluso in Tunisia per terrorismo, ha fatto proselitismo con altri, era ben addestrato. Ma soprattutto – sottolinea Caliò – insieme ad altri sodali della cellula tunisina, organizzava i viaggi con i barconi per portare i ‘fratelli’ terroristi in Italia”.
Mselmi Halmi Ben Mahmoud è un cittadino tunisino di 28 anni ed è descritto nel decreto di fermo della Procura della Repubblica – che l’Adnkronos ha potuto visionare – come un punto di riferimento per i suoi sodali, tutti “fratelli”, alcuni indagati con lui nello stesso procedimento, riconducibili alla cellula “Chott Meriem”. “Una personalità inquietante – scrive il pm – profondamente radicalizzata e disponibile a immolarsi per la causa musulmana”. Il pm chiarisce che Mselmi “era solito ascoltare, quotidianamente, delle canzoni in arabo che esaltavano la morte e la certezza di raggiungere il paradiso. Peraltro, lui ascoltava una canzone, come sveglia mattutina, in cui si inneggiava al martirio”.
L’uomo ha alle spalle un arresto quando era ancora minorenne: “Avevo un pc pieno di video del Daesh”, scriveva lui stesso a un sodale in una conversazione intercettata. Video che, come lui stesso specificava poi al suo interlocutore, riguardavano le modalità di uccisione delle vittime, in particolare la loro decapitazione. “Mi hanno chiesto chi sono i miei amici, in quale moschea vado – ha continuato – e se ho contatti con i terroristi che stanno nella montagna ‘Chaanbi’ (un luogo in Tunisia dove si rifugiano i terroristi, ndr). Ho negato tutto, ho detto che ho 17 anni, che non sono andato a scuola solo perché non stavo bene”.
Furioso per la sua latitanza, era bloccato in Italia perché senza permesso di soggiorno. “Se mi salgono i nervi, divento veramente un terrorista, hai capito?”, diceva in una conversazione intercettata, apprende l’Adnkronos, riferendosi alle autorità che lo stavano cercando. “Questa è la fine. Inizio a girare con un coltello e se mi capita un poliziotto glielo do e comincio a sgozzare i poliziotti. Quella è la vita se non ti lasciano in pace, se non ti lasciano, tu non li devi lasciare… allora cosa dovevo fare? Sono fuggito clandestinamente”, spiegava manifestando la sua indole violenta nei confronti dei poliziotti. Nemmeno un anno fa, sempre allo stesso interlocutore, suo sodale, raccontava: “Uno con la pazienza aggredisce e ne cattura uno ogni giorno; ogni giorno avrei catturato uno dei gruppi dei serpenti (termine con il quale indica i poliziotti, ndr.) e l’avrei aggredito. E se Dio avesse voluto, in un anno ne avrei finito dieci o venti”.
In una conversazione intercettata, il 28enne tunisino scriveva: “Ti giuro su Dio, se mi aprono il confine vado in Palestina, non voglio proprio niente. Vado in Palestina, se Dio vuole, e do vittoria ai miei fratelli lì e faccio allontanare il male degli ebrei su di loro. Hai capito? È questo che voglio”. Nel decreto di fermo della Procura della Repubblica vengono anche riportate le sue parole in relazione al suo intendimento di raggiungere i suoi “fratelli in Dio musulmani”, rammaricandosi al contempo di non avere il passaporto, che il consolato non gli rilasciava alla luce dei suoi trascorsi giudiziari”.
La polizia giudiziaria ha anche segnalato alcune fotografie scattate nella Questura di Cosenza. “In particolare – si legge nel decreto di fermo – l’indagato, in un momento storico nel quale lamentava ritardi nella consegna del suo permesso di soggiorno, girava un video con il quale inquadrava il personale in servizio al front-office dell’Ufficio Immigrazione e, nel contempo, faceva delle foto di cui una all’esterno e, cosa più sospetta, una alla planimetria di emergenza dell’intera Questura”. Non solo. Il pm scrive ancora che “nella memoria del suo telefono cellulare, era memorizzata la foto dell’ingresso principale della stessa struttura con, in primo piano, una volante. Non si esclude – ancora il giudice – che egli intendesse pianificare un’azione, da effettuarsi successivamente, tendente a colpire la polizia cosentina”.
L’attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, ha consentito di ricostruire l’esistenza e operatività di una struttura criminale idonea a mettere in opera atti terroristici, che svolgeva attività di proselitismo e indottrinamento finalizzata a inculcare una visione positiva del martirio per la causa islamica nonché attività di addestramento militare e il cui obiettivo era quello di sovvertire gli ordinamenti statuali, soprattutto quelli relativi a Stati in cui la popolazione è a maggioranza musulmana, tendendo a creare strutture teocratiche, dove i vertici dispongono che le leggi siano di derivazione divina e che le stesse debbano essere rigidamente osservate.
Oltre alla promozione di ideali di radicalismo religioso e all’avversione verso la popolazione ebraica, l’ambiente di vita in Italia e l’attività svolta dagli immigrati di fede islamica (documentate attraverso l’acquisizione di files, inneggianti la Jihad, di filmati su attentati e scene di guerra, rivendicate dall’organizzazione terroristica, attraverso documenti illustrativi della preparazione di armi ed esplosivi, nonché attraverso la divulgazione di informazioni sulle modalità con cui raggiungere luoghi di combattimento e su come trasmettere in rete messaggi criptati), tra le attività criminali del sodalizio è emersa quella relativa all’immigrazione clandestina.
Le indagini hanno, infatti, accertato la capacità dell’organizzazione di gestire il flusso migratorio clandestino dalla Tunisia all’Italia, sia per ciò che atteneva al materiale trasferimento degli immigrati clandestini sia perché la stessa disponeva di documenti falsi destinati a consentire la loro permanenza illegale in Italia, in particolare il viaggio clandestino di un ‘fratello’ ricercato dalle autorità tunisine, non realizzato per altri motivi.