(Adnkronos) – È Cate Blanchett, ospite d’onore della serata, a salire sul palco per consegnare la Palma d’Oro della 78esima edizione del Festival di Cannes a ‘Un simple accident’ di Jafar Panahi. L’annuncio è accolto da una lunga ovazione. Panahi — per la prima volta presente fisicamente sulla Croisette, dopo anni di repressione e arresti domiciliari — riceve il premio con compostezza.
Il regista iraniano ha dichiarato all’Afp “che non temeva assolutamente” di tornare in Iran dopo aver vinto la Palma d’Oro. Alla domanda se temesse questo ritorno, il cineasta 64enne, che è stato imprigionato due volte nel suo Paese e che recentemente ha avuto il permesso di lasciare l’Iran ma gli è ancora vietato di girare, ha risposto: “Per niente. Partiremo domani”.
La cerimonia si è tenuta sabato 24 maggio, nonostante il blackout, che ha paralizzato la città per cinque ore.
Oppositore del regime iraniano, il regista Jafar Panahi ha dedicato la sua vita al cinema, sfidando la censura, a volte a costo della sua libertà, fino a ricevere la Palma d’Oro a Cannes oggi. “Sono vivo perché faccio film”, ha dichiarato all’Afp l’autore di ‘Un simple accident’. Agli arresti domiciliari in Iran fino a poco tempo fa e con il divieto di girare film, il cineasta 64enne, figura della Nouvelle Vague del cinema iraniano che è stata repressa a livello internazionale, ha potuto recarsi a Cannes (e a un Festival) per la prima volta dopo 15 anni. L’amore di Panahi per il cinema gli è costato la libertà in diverse occasioni: è stato imprigionato due volte, per 86 giorni nel 2010 e per quasi sette mesi tra il 2022 e il 2023. Ha iniziato uno sciopero della fame per ottenere il suo rilascio.
Dietro le sbarre, Panahi ha trovato l’ispirazione per il suo ultimo film, in cui denuncia l’arbitrio senza dirigere se stesso come nelle sue opere precedenti. “Quando metti (un artista) in prigione, gli dai qualcosa con cui lavorare, delle idee, gli apri un nuovo mondo”, ha spiegato a Cannes. Alla domanda se temesse il ritorno in Iran dopo la Palma d’Oro, il regista è stato categorico. “Per niente. Partiremo domani”, domenica, ha detto all’Afp.
Grande nome del cinema iraniano, come Abbas Kiarostami, di cui è stato assistente all’inizio della sua carriera, le opere di Jafar Panahi, vietate in Iran, sono state regolarmente premiate nei maggiori festival, da Cannes a Venezia e Berlino. La vita del figlio di questo artigiano, nato a Teheran l’11 luglio 1960 e cresciuto nei quartieri poveri della capitale, è stata stravolta nel 2010. È stato condannato a sei anni di carcere per “propaganda contro il regime” dopo aver sostenuto il movimento di protesta del 2009 contro la rielezione dell’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza della Repubblica islamica. Gli è stato inoltre vietato per 20 anni di girare o scrivere film, viaggiare o parlare nei media. Queste condanne non gli hanno mai impedito di continuare a girare clandestinamente. Tra i suoi film più famosi c’è ‘Taxi Teheran’, girato dall’interno di un taxi, per il quale ha vinto l’Orso d’oro alla Berlinale nel 2015. Con il ‘Palloncino bianco’, il suo primo lungometraggio, nel 1995 ha vinto la Caméra d’or al Festival di Cannes. Il cineasta ha anche vinto il Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard nel 2003 per ‘Oro rosso’ e il Premio per la sceneggiatura nel 2018 per ‘Tre Voli’. Nel 2012, insieme alla sua connazionale Nasrin Sotoudeh, avvocato per i diritti umani, Jafar Panahi ha ricevuto il Premio Sakharov per la libertà di pensiero dal Parlamento europeo. Ha un figlio, Panah, che è diventato regista. Il suo primo film, “Hit the Road”, è stato presentato nel 2021 alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes.
‘A simple accident’ è il film più apertamente politico della carriera di Panahi. Un thriller morale e carcerario che prende avvio da un fatto banale — un piccolo incidente stradale — e si trasforma in un atto di accusa corale contro la violenza di Stato. Un gruppo di ex detenuti, torturati e segnati, si riunisce per identificare e giudicare l’uomo che credono essere stato il loro carnefice, un procuratore zoppo mai visto in volto, riconoscibile solo da un passo, un odore, una voce. Il dubbio morale e la sete di giustizia muovono il racconto in una spirale di tensione, che Panahi costruisce tra interni claustrofobici, deserti spogli e dialoghi tesi. Girato con attori non professionisti, in condizioni clandestine, il film fonde l’assurdo di Beckett alla tensione politica di un cinema di vendetta post-totalitaria. La verità resta ambigua, ma ciò che conta per Panahi è l’emergere di una coscienza collettiva: quella dei perseguitati che, riconoscendosi, si fanno resistenza comune. Il film è nato anche da testimonianze raccolte durante la prigionia del regista, e si impone come un’opera di denuncia, di solidarietà e di memoria. Con questa Palma, Cannes riconosce non solo un grande autore, ma un cinema che non smette di interrogare la realtà anche sotto censura, sotto minaccia, sotto sorveglianza. Un semplice incidente, forse. Ma una Palma decisamente necessaria
Il premio per la migliore interpretazione maschile è andato a Wagner Moura per ‘The Secret Agent’. Moura interpreta un uomo in fuga e in ascolto, una figura politica e insieme privata, che incarna l’ambiguità della storia brasiliana degli anni ’70. Nessun effetto, nessun eccesso: solo uno sguardo mobile e inquieto che attraversa il film come una presenza resistente e incerta. È uno dei premi più netti della serata. Il premio per la migliore interpretazione femminile va a Nadia Melliti per la sua interpretazione in ‘La Petite Dernière’ di Hafsia Herzi.
Il premio per la migliore regia va a Kleber Mendonça Filho per O Agente Secreto. È il secondo riconoscimento della serata per il film brasiliano, dopo il premio a Wagner Moura come miglior attore.
È Alice Rohrwacher, presidente della giuria della Caméra d’Or, ad annunciare il premio per la miglior opera prima del 78esimo Festival di Cannes. Dopo aver visionato 28 film provenienti da tutte le sezioni — Concorso, ‘Un Certain Regard’, ‘Semaine de la Critique’, ‘Quinzaine’ — la giuria ha scelto di premiare il film iracheno ‘The President’s Cake’. “Abbiamo visto 28 sguardi sulla realtà e 28 porte, e a tutti vogliamo dire grazie per questo viaggio avventuroso”, ha dichiarato la regista italiana prima di consegnare il premio. Il riconoscimento va al film diretto da Koutaiba Al-Janabi, che ha ringraziato sul palco “i bambini che ho conosciuto durante la lavorazione, e che mi hanno regalato lo sguardo necessario per raccontare questa storia”.
La giuria ha, inoltre, assegnato una menzione speciale a ‘My Father’s Shadow’ di Akinola Davies Jr., film ambientato in Nigeria che ha colpito per la forza visiva e la tenerezza con cui affronta la relazione padre-figlio.
John C. Reilly, salito sul palco canticchiando ‘La vie en rose’, ha consegnato il Prix du scénario ai fratelli Dardenne per ‘La maison maternelle’, uno dei titoli più intensi della parte finale del concorso. “Ringraziamo le cinque giovani protagoniste. Questo premio è anche loro”, hanno detto i registi, visibilmente emozionati. Con questo riconoscimento, i Dardenne tornano a Cannes da premiati dopo quasi un decennio.
È Juliette Binoche in persona ad annunciare il Prix spécial del 78esimo Festival di Cannes, premio non previsto dal regolamento ufficiale ma deciso all’unanimità dalla giuria “per onorare un’esperienza cinematografica fuori dal comune”. Il riconoscimento va a ‘Resurrection’ di Bi Gan, film cinese enigmatico, sensoriale, costruito su piani sequenza, simbolismo cosmico e temporalità fluttuante. Un viaggio interiore e mitologico che ha diviso parte della critica, ma che ha evidentemente conquistato la giuria per la sua ambizione formale e poetica. Un segnale forte: Cannes, anche quando rispetta la tradizione, sa ancora creare spazio per l’eccezione. E ‘Resurrection’, nella sua irriducibilità narrativa, lo era fin dal primo fotogramma.
Il Premio della Giuria del 78esimo Festival di Cannes viene assegnato ex aequo a ‘Sirāt’ di Óliver Laxe e ‘Sound of Falling’ di Mascha Schilinski. Se Sirāt è il film del rito e della trance, Sound of Falling è il film dell’ombra e del trauma. Un horror gotico intimo, tutto al femminile, che ha colpito per la capacità di coniugare inquietudine, memoria familiare e forza visiva. Una vera rivelazione per la critica e per il pubblico della Croisette. La regista Mascha Schilinski, non presente in sala, ha inviato un messaggio di ringraziamento.
È Coralie Fargeat, regista francese e protagonista a Cannes 2024 con The Substance, a consegnare il Grand Prix – Speciale della Giuria del 78esimo Festival di Cannes a ‘Sentimental Value’ di Joachim Trier. Un riconoscimento che conferma l’impatto silenzioso ma profondo che il film ha avuto nel corso del festival: ‘Sentimental Value’ è una riflessione delicata sul legame tra un padre regista e una figlia attrice, sul tempo, sul perdono, sulla difficoltà di raccontare davvero chi si ama.
La scrittura affilata, il tono trattenuto, le interpretazioni misurate (tra cui Stellan Skarsgård, più volte citato per il premio attoriale) hanno conquistato la giuria, che ha voluto premiare non solo la qualità narrativa, ma anche la coerenza emotiva e la finezza registica dell’opera. È la prima volta che Trier riceve un premio nel Concorso principale di Cannes, dopo il successo con ‘Oslo, August 31st’ e ‘La persona peggiore del mondo’ in altre sezioni. Un segnale chiaro: il suo cinema intimo, fatto di crepe e tensioni familiari, trova finalmente riconoscimento anche sulla Croisette.