(Adnkronos) – In questi giorni circola nelle chat dei militari italiani il discorso del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale di Corpo d’Armata Carmine Masiello, in cui sferza i suoi commilitoni: “L’esercito è fatto per prepararsi alla guerra. I nostri uomini in Libano non vogliono la guerra. Sono nei bunker, sono i primi a volere la pace. Ma sono pronti a fare la guerra. E per questo motivo, sto valutando il ritornare a chiamare il corso di Stato Maggiore con il nome che aveva una volta: scuola di guerra. La tecnologia rappresenta la proattività e la trasformazione continua ed è la nostra arma per sopravvivere vittoriosi sul campo di battaglia. Oggi vince chi è più tecnologico. Tutto il resto sono chiacchiere, mi dispiace”. 

E poi spiega come stanno cambiando i conflitti: “Qualche anno fa in Afghanistan – qualcuno di voi ci era sicuramente – camminavamo guardando a terra, con il terrore per ogni minimo avvallamento. Tremavamo quando dovevamo attraversare un canale di scolo, avevamo paura degli IED (Improvised Explosive Device – ordigni esplosivi improvvisati, ndr), che tanti morti hanno fatto. Il soldato, in Ucraina, oggi non guarda a terra, guarda in aria. Oggi la morte arriva dall’aria: il drone è l’IED odierno e sarà l’IED del futuro”. 

L’Adnkronos lo ha trascritto integralmente. 

Gen. Carmine Masiello: 

“La nostra missione non è creare burocrazia, non è vivere nella burocrazia, non è vivere per la burocrazia. L’esercito è fatto per prepararsi alla guerra. Punto. Quindi questo deve essere un messaggio molto chiaro che dovete avere tutti in testa: fino a qualche anno fa, era una parola che non potevamo utilizzare. Oggi la realtà ci ha chiamato a confrontarci con la guerra, questo non vuol dire che l’esercito vuole la guerra ma vuol dire che noi ci dobbiamo preparare e più saremo preparati per la guerra e maggiori probabilità ci saranno che ci sia la pace. Non penso che i nostri uomini in Libano vogliano la guerra. Sono nei bunker, sono i primi a volere la pace. Ma sono pronti a fare la guerra. E per questo motivo, sto valutando il ritornare a chiamare il corso di Stato Maggiore con il nome che aveva una volta: scuola di guerra. Perché è quello alla quale ci preparavamo. 

 

 

Vorrei fare una riflessione, l’ho accennato, una rivoluzione militare. Qualche giorno fa leggevo Il Corriere della Sera:56 guerre oggi nel mondo. Accendete un telegiornale, aprite un giornale: l’Ucraina e il Medio Oriente sono su tutti i giornali, se ne parla continuamente. Questi conflitti hanno mutato radicalmente il modo di combattere. Se guardiamo l’Ucraina, che prendo come esempio, vi è un mix di guerra antica – le trincee che avevamo completamente dimenticato, i campi minati, i rotoli di filo spinato, il fango – e poi c’è il futuro, la guerra cibernetica, la guerra spaziale: ci sono i droni e tutte le loro varianti, c’è la disinformazione, la guerra delle menti. La mente nostra, dei militari e dei civili, è diventata ormai parte del campo di battaglia. 

Qualche anno fa in Afghanistan – qualcuno di voi ci era sicuramente – camminavamo guardando a terra, con il terrore per ogni minimo avvallamento. Tremavamo quando dovevamo attraversare un canale di scolo, avevamo paura degli IED (Improvised Explosive Device – ordigni esplosivi improvvisati, ndr), che tanti morti hanno fatto. Il soldato, in Ucraina, oggi non guarda a terra, guarda in aria. Oggi la morte arriva dall’aria: il drone è l’IED odierno e sarà l’IED del futuro, per un po’ di tempo. Siamo in sintesi davanti a un condensato di passato, che il conflitto convenzionale, e futuro: i domini emergenti, la tecnologia digitale, l’intelligenza artificiale, che detta le linee di sviluppo e pone allo strumento militare terrestre sfide complesse – non complicate: complesse – per fronteggiare le quali l’esercito deve essere portato al livello tecnologico delle altre forze armate, 

L’ho già detto, lo ripeto: l’output operativo della Difesa è il prodotto dei fattori delle diverse Forze Armate. E se uno dei fattori tende a 0, il prodotto tende a 0, quindi tutti devono essere tecnologici. E l’esercito deve esserlo come le altre Forze Armate. Dobbiamo quindi attrezzarci e dobbiamo farlo presto. E lo dico – e riprendo le parole di un ex capo di stato maggiore della difesa statunitense, a conferma che non è soltanto il nostro problema – l’ammiraglio Michael Mullen, il quale recentemente intervenendo a un board sull’innovazione della Difesa statunitense, ha detto – e cito testualmente – “non c’è più tempo per la mediocrità, non c’è più tempo per la burocrazia”, e io aggiungo: non c’è più tempo per le rendite di posizione, che sto combattendo dal giorno in cui ho assunto l’incarico di Capo di Stato Maggiore. 

Purtroppo viviamo in un mondo burocratico, un mondo che ha paura di cambiare perché il cambiamento è visto come personale. Però non si può fermare l’evoluzione positiva di un’organizzazione per il rischio personale, non mi interessa il destino di ognuno, non mi interessa la carriera del singolo, mi interessa l’organizzazione che deve cambiare. Lo dico per il bene dell’Esercito lo dico per il bene dei nostri soldati e delle loro famiglie. Lo dico all’industria della Difesa, quando ravviso ritardi nelle consegne e tengo il punto sui requisiti tecnici che pretendo vengano rispettati. Qualcuno mi ha fatto notare qualche giorno fa che la guerra è una cosa troppo seria per farla fare ai militari, citando un adagio. Io dico: bene, facciamo sì che se ne occupino politica e diplomazia. Il problema è che mentre la politica e la diplomazia fanno il loro lavoro, i soldati soffrono e muoiono. E non è una differenza da poco. 

Dobbiamo avere il coraggio – abbiate il coraggio – di mettere a nudo le storture, le inefficienze. Dobbiamo trovare procedure reattive. Dobbiamo superare gli schemi che la storia ormai ha consegnato all’oblio, anche a costo di apparire impopolare nelle tesi e di rendersi invisi a qualcuno nelle soluzioni. Scelte alternative, dobbiamo essere coscienti: l’esercito deve cambiare. L’esercito deve innovarsi e deve farlo presto. La locomotiva del cambiamento. è partita. È stata la mia prima priorità da quando ha assunto il mandato di capo di stato maggiore dell’esercito. Abbiamo reagito. Abbiamo reagito al modo di fare una guerra. Non fatevi criticare, che l’esercito italiano non è pronto per questi scenari. Nessun esercito è pronto per questi scenari! tutti si erano concentrati su queste famose operazioni di sostegno alla pace, tutti guardavano a quegli scenari, nessuno ha avuto la visione di capire quello che stava succedendo. Era comodo fare operazioni di sostegno alla pace, in primis perché costano di meno. 

Quindi è più comodo prepararsi per una cosa del genere. Invece bisogna prepararsi per le cose più difficili, perché se si sanno fare le cose più difficili si sanno fare anche quelle più facili. Anche se questo costa di più. Ma questa è la reazione che tutti stiamo avendo in questo momento: stiamo cercando di correre per far fronte a quello che sta succedendo in Ucraina e Medio Oriente. Però non è questo a cui dobbiamo soltanto tendere, perché alle reattività si deve affiancare la proattività. Perché se ci limitiamo a reagire, fra 15-20 anni qualcuno di voi che sarà il mio posto avrà gli stessi problemi che io ho adesso, perché sarà cambiato lo scenario e non lo avremo previsto, perché ci saremo concentrati sulla reazione a quello che sta succedendo. Se voglio esemplificare, per far comprendere ciò a cui mi riferisco: si reagisce all’Ucraina, ma si è proattivi per l’Africa che sarà il problema dei prossimi 20-30 anni. 

La tecnologia rappresenta la proattività e la trasformazione continua ed è la nostra arma per sopravvivere vittoriosi sul campo di battaglia. Oggi vince chi è più tecnologico. Tutto il resto sono chiacchiere, mi dispiace. In un confronto con l’asimmetria tecnologica esce sconfitto chi non ha abbastanza tecnologia per competere. Vince chi ha la società tecnologica. E l’esercito, l’ho detto, o è tecnologico o non è. Poche settimane fa abbiamo fatto un’esercitazione di sperimentazione, abbiamo testato l’impiego di nuove tecnologie, armi e mezzi di cui stiamo iniziando equipaggiare l’esercito, ponendoci all’altezza – in alcuni settori anche all’avanguardia – dei più moderni eserciti occidentali. L’addestramento è l’essenza della nostra missione: chi sceglie di mettere stellette, sceglie di addestrarsi. Si cresce a pane e addestramento, è la nostra polizza assicurativa, e la polizza assicurativa per il nostro Paese è la polizza assicurativa per ognuno di noi. 

Più sarete addestrati e maggiori probabilità avrete di sopravvivere sul campo di battaglia. Voi e chi è a fianco a voi. E penso che ognuno voglia a fianco a sé qualcuno che sia addestrato. Quindi addestratevi, e pretendete dai vostri uomini che siano addestrati. Qualche parola in più la spendo sui valori che considero il fondamento dell’istituzione militare. I valori rappresentano le nostre regole di vita, rappresentano l’impegno che ognuno di noi ha assunto un giorno giurando davanti al tricolore. Queste regole, questi valori sono sulle nostre stellette. Le portiamo sul bavero, e sono quelli che ci rendono uniti, sono la nostra forza, sono quelli che fanno la differenza fra la nostra istituzione e un organizzazione. Sono quelli per i quali quando si è in una crisi quando il paese è in difficoltà, sentite dire “chiamate l’esercito”, non dimenticatelo mai. 

Non tollerate che vengano messe in discussione le nostre regole, sono la garanzia della nostra essenza e della nostra sopravvivenza. L’esercito, è noto, riflette l’intero spaccato della società. Tutto deve cambiare velocemente perché bisogna adeguarsi ai tempi, a partire dalla mentalità. Non dobbiamo soltanto riappropriarci della capacità di condurre campagne o battaglie ad alta intensità in chiave interforze multi-dominio. Riguarda anche Il dimensionamento quantitativo e qualitativo dell’esercito, il reclutamento, la rigenerazione delle forze, le riserve, la mobilitazione con le connesse capacità, gli stock di materiali e le munizioni, la maniera in cui ci addestriamo, ci formiamo, la dottrina, il modo in cui ci organizziamo per i programmi di sostegno e benessere per il nostro personale. E non dimentico la capacità e i tempi di produzione e di consegna dell’industria della difesa abituata, come lo siamo stati noi, a non aderire agli ordini del tempo. 

È quindi sostanzialmente necessario un salto culturale che è diventato indispensabile: cultura organizzativa, capacità, possibilità, attitudine a pensare fuori dagli schemi. Superare l’autoreferenzialità, esplorare nuovi approcci, saper rischiare, e stare al passo con i tempi. Giovani: aprire gli occhi! E guardare quello che succede nel mondo civile. Lo stiamo facendo, continuate a farlo. Le idee sono tante, dobbiamo assorbirle, prenderle, provarle velocemente. È finito il tempo degli Yes-men, abbiate il coraggio di parlare nonché del pensiero laterale. Dal contrasto alla repressione dell’errore, che invece deve essere accettato. Tutti hanno paura di sbagliare, chissà cosa succede se non fate errori? Solo sbagliando si cresce, e noi abbiamo bisogno di crescere, abbiamo bisogno di innovarci. Non abbiate timore. 

L’errore va incoraggiato se è frutto di iniziativa, se hai voglia di fare, voglia di non arrenderti e di rialzarti. Abbiamo bisogno di persone che pensino fuori dagli schemi, non è con la paura di pensare o la paura di cambiare che facciamo il bene del nostro esercito, dei nostri soldati e delle loro famiglie. Servono leader e comandanti che siano in grado di dare l’esempio, che siano in grado di prendersi cura dei propri uomini e delle proprie donne, non dobbiamo mai perdere di vista che la vera forza dei nostri esercito sono i nostri soldati, i loro standard professionali, fisici, di disciplina, di soddisfazione. Dobbiamo creare per loro le migliori condizioni di vita e di sicurezza. Sempre. Non servono leader e comandanti che si servono dei propri uomini. Servono leader e comandanti che servono i propri uomini. Una formazione adeguata all’evoluzione dei tempi dovrà consegnarci comandanti e leader pronti a mettersi in gioco, che non smettano mai di chiedersi cosa può essere fatto meglio. In grado di superare la fissità rassicurante da “si è sempre fatto così”. Non si può continuare a dire “si è sempre fatto così”. 

Superare ogni forma di burocrazia che ci impedisce di andare alla velocità che vogliamo, che è indispensabile. E mi soffermo un attimo su questo, qualora dovesse essere sfuggito a qualcuno, che siamo già al lavoro per quanto riguarda la battaglia al cosiddetto “sesto dominio” il dominio della burocrazia. Abbiamo attivato da mesi un programma dedicato, una casella di posta elettronica nel mio ufficio all’indirizzo menoburocrazia@esercito.difesa.it Tutti possono scrivere, tutti possono contribuire per darci delle idee per abbattere la burocrazia dell’esercito. Chiunque, dall’ultimo volontario appena entrato, può scrivere a questa casella e mandare le proprie idee. Le idee nell’esercito che ho il privilegio di dirigere non hanno gradi, e lo ripeto se qualcuno dei dubbi. 

Se qualcuno non sa, può chiedere. Anche lì abbiamo un altro indirizzo, abbiamo un numero WhatsApp, anche lì c’è una risposta che verrà data. Abbiamo sviluppato un programma su Radio esercito per rispondere ai quesiti. Stiamo facendo di tutto per raccordare la periferia al centro. Abbiamo bisogno che le idee, le idee dei giovani, le idee vostre arrivino al vertice e arrivino subito, senza valutazioni gerarchiche che le rallentino o le devino”.