(Adnkronos) – “Mi fa inca**are quando mi dicono ‘poverina’. Ed è qui che c’è il fallimento del ruolo educativo. Io dico che il dolore può educare, mi accorgo che la mia resilienza è di ispirazione per i ragazzi delle scuole che incontro, pensano ‘se ce l’ha fatta lei a superare un momento difficile, posso farcela anche io'”. A dirlo all’Adnkronos è Teresa Manes, la mamma di Andrea Spezzacatena, che nel 2012 si è tolto la vita dopo aver subito atti di bullismo e cyberbullismo. La sua storia prende vita sul grande schermo ne ‘Il ragazzo dai pantaloni rosa’ – come il nome della pagina Facebook attraverso cui i bulli scrivevano insulti omofobi e minacce contro Andrea – presentato oggi ad Alice nella Città (sezione autonoma e parallela alla Festa del Cinema) e dal 7 novembre nelle sale con Eagle Pictures.  

“Sono contenta di questo film, spero che possa arrivare a più persone possibili, le scuole stanno manifestando il loro interesse. Mi auguro che la visione non sia fine a se stessa e che si prosegua con un lavoro fatto sui ragazzi con l’educazione alle emozioni”, sottolinea la Manes, che nel film è interpretata da Claudia Pandolfi. “Ho capito subito che fosse l’attrice giusta per interpretarmi”, dice la mamma. A interpretare il figlio, invece, è Samuele Carrini: “Mi ha ricordato Andrea nei gesti, nell’affettività che dimostra e nella sensibilità”. Ma anche il silenzio. “Per me è stato uno schiaffo, uno di quelli che ti fa fare 3 o 4 giri su te stessa perché c’è stato il grido inascoltato di mio figlio. Ma anche da parte degli amici e dei compagni di scuola che non si rendevano conto”. Così il silenzio “si trasforma in indifferenza”.  

A dodici anni dalla morte di Andrea “resta questa battaglia di civiltà, non ho rabbia. Forse l’ho avuta all’inizio. Ora la mia battaglia – dice mamma Teresa – è abbattere il muro del silenzio e dell’indifferenza, ma soprattutto tirare la giacca all’adulto e chiamarlo alle sue responsabilità perché in molte famiglie i figli vengono lasciati soli”. Anni fa “non c’era la consapevolezza che c’è oggi, quando Andrea si è suicidato non si parlava di bullismo”, fa notare Teresa, che con il figlio ha avuto un rapporto di complicità. “Era sempre sorridente, – ricorda – voleva andare a scuola e stare con gli altri. Ho confuso dei segnali, come il mangiarsi le unghie o l’alopecia, pensando a un rifiuto di una ragazzina”. Andrea “si è trasformato in vittima senza neanche accorgersene. Per questo è importante rompere il silenzio perché da soli è difficile uscire da simili situazioni”.  

Rosa era il colore dei suoi jeans, risultato di un lavaggio sbagliato, che Andrea aveva indossato per andare scuola. “Non so che fine abbiano fatto. Ho avuto bisogno di difendermi dal dolore”, ammette Teresa. “A casa ci sono dei sacchi e un armadio pieno di cose di Andrea che non apro mai. Lui era uno che conservava tutto, dal biglietto dell’autobus al fiore secco fino alle pietre perché per lui erano ricordi. Ogni tanto quando mi capita tra le mani un sasso penso ‘chissà cosa stava pensando quel giorno in cui l’ha trovato’”. Manes, nel corso degli anni, ha fatto una scelta: “Essere parte sociale attiva. Ho deciso di trasformare il mio dolore, l’ho progettualizzato, in qualcosa che potesse essere utile a tanti altri ragazzi perché il dolore può educare”. Ai ragazzi “dico di non minimizzare questi episodi di violenza e di non riderci su. Abbiate coraggio di denunciare”. (di Lucrezia Leombruni)